Olga e Amos (racconto)

(Avevo scritto questo breve racconto per la prima edizione del concorso letterario Senghor)
Era stato un bellissimo pomeriggio di inizio primavera per Amos, uno di quelli che, di certo, non avrebbe mai dimenticato per il resto della sua vita. Quel giorno Olga, che da qualche settimana era diventata sua amica, lo raggiunse a casa sua.
   Bisognerebbe dire che la nascita della loro amicizia era stata parecchio singolare: dopo aver frequentato la stessa classe per ben tre anni consecutivi - senza tuttavia mai considerarsi l’un l’altra - vennero bocciati entrambi quando erano in terza. Si trovarono quindi, per pura casualità, a ripetere l’anno nella stessa classe di una nuova scuola. Questa volta, però, vicini di banco. Fu questa vicinanza forzata e casuale a unirli, anche se, inizialmente, si detestavano, e passavano le lunghe mattinate scolastiche per lo più a bisticciare e a tirarsi gomitate per un motivo o per l’altro. Sembravano avercela entrambi con il mondo.
   A un attento osservatore non sarebbe però certo sfuggito che sia Olga che Amos, in quel periodo, stavano precipitando nello stesso vortice, forse più di tanti altri loro coetanei. Un giorno di aprile si tesero per la prima volta una mano e diventarono, con loro grande sorpresa, amici praticamente inseparabili. Per uno strano e beffardo gesto del destino si erano già trovati sulla stessa strada tanto tempo prima, anche se non si erano mai scambiati nemmeno una parola.
   Li aveva uniti definitivamente la musica e la loro voglia di combattere insieme la propria personale guerra contro il mondo.
  
   - Allora, che si fa oggi? - chiese Olga, non appena fu arrivata a casa dell'amico.
   - Suoniamo un po’, dai! - rispose Amos, senza pensarci due volte.
   Si diressero quindi verso i campi dietro casa, con la chitarra sulle spalle. Poco lontano c’era una villa, in quel momento disabitata, con tanto di un bellissimo ed enorme giardino all’inglese.
   - Entriamo nel parco? - chiese lei, travolgendo Amos con un insolito entusiasmo.
   - Possiamo salire sulla muraglia e sederci lì, non mi fido a entrare, non voglio finire nei guai! - esclamò lui, un po’ riluttante all’idea.
   Si sedettero quindi sul muro di cinta, in un angolo in cui nessuno poteva vederli. Suonarono con passione ed energia tutte le canzoni che conoscevano e che accomunavano la loro amicizia, dopodiché parlarono indisturbati per ore.
   Furono, quelli, attimi meravigliosi per Amos, dal momento che, per la prima volta dopo mesi di gelo dell’anima, si accorse di avere finalmente trovato un’amica che poteva ascoltarlo e capirlo come mai nessun altro aveva fatto sino ad allora. La scuola, la solitudine, i problemi sentimentali, la famiglia e tante altre cose ancora avevano smesso di essere ostacoli insormontabili, con Olga al suo fianco.
   Era stata una liberazione, quel giorno, un sollevarsi dai tanti pesi che da diverso tempo lo opprimevano più che mai.
   - Sei stato buffo stamattina, a prendere a calci lo zaino proprio davanti alla prof! - disse a un certo punto Olga all’amico, per canzonarlo.
   - Non mi meritavo quel votaccio nel tema, mi ero impegnato molto, - rispose secco Amos.
   - Così, oltre a un brutto voto, ti sei preso anche una nota! - ribatté lei.
   Amos, del resto, era fatto così. C’era in lui un lato ribelle che non gli faceva abbassare la testa di fronte a nessuno, professori compresi. Questi ultimi, ovviamente, non si erano mai fatti una buona reputazione di lui. Possedeva però anche un lato sensibile, che in pochi potevano cogliere e capire per davvero.
  
   - Dai, entriamo! - esclamò inaspettatamente Olga, e con un balzo saltò giù nel prato, finendo però con l’inciampare in una radice sporgente dal terreno.
   - Te l’avevo detto che era meglio non entrare! - le disse Amos dall’alto del muretto, ridendo.
   - Ti chiameremo il re dei fifoni, quindi? - rispose lei facendogli il verso, mentre si ripuliva i pantaloni dalla polvere.
   Amos prese coraggio e raggiunse Olga. Il giardino della villa era meraviglioso, con enormi alberi e un grande stagno tra le collinette rigogliose di vegetazione. Era un mondo bellissimo e inesplorato per lui, nonostante fosse a poche centinaia di metri da casa sua. Rischiavano grosso, tuttavia, se qualcuno li avesse visti!
   Una volta raggiunta la villa, i due amici scrutarono incantati, attraverso i vetri delle grandi finestre polverose, gli enormi saloni ricchi di decorazioni e mobili antichi. Osservando quel mondo rimasto intatto da chissà quanti decenni, ai due sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo. All’improvviso, però, una voce nei paraggi - forse quella di un giardiniere o di un custode - li destò dai loro sogni a occhi aperti. Furono perciò costretti a scappar via tra la boscaglia del giardino, prima che qualcuno potesse accorgersi della loro presenza.
   I due amici conclusero la loro fuga con una corsa liberatoria nell’erba alta e profumata che cresce lungo i campi all’inizio della primavera. Rientrarono a casa di Amos col fiatone, ridendo come due matti per lo spavento, dopodiché si abbracciarono e si buttarono sul prato facendo la lotta, come piaceva tanto a loro.
   Era solo l’inizio di una grande amicizia, un legame che aveva tratto dall’oscurità dell’adolescenza la propria linfa vitale per prosperare. Quella era stata per Amos anche la primavera dell’anima, come a lui piaceva tanto chiamarla allora, l’estasi del risveglio dopo un lungo periodo di torpore dei sensi e delle emozioni.


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